mercoledì 16 novembre 2011

(RI)SENTIMENTO DEL RIFIUTO

Un tempo siamo stati utili, abbiamo avuto uno scopo, una funzione. Oggi siamo niente, anzi, ancora meno: siamo qualcosa di fastidioso e ingombrante da cui liberarsi e di cui bisogna presto dimenticarsene, poiché dopo l'uso abbiam perso ogni fascino, ogni attrattiva.
Le mani che fino a solo un attimo fa ci coccolavano ora corrono lontano da noi per trovare il lavandino più vicino, e per lavarsi del nostro indesiderato ricordo.
Sono sempre più belle, quelle mani, forse anche per merito nostro, ma ormai è passato, e l'unica cosa che ci consola del nostro ruolo di sostanza usa e getta è che quelle mani, le stesse che abbiamo amato nei brevi momenti in cui ci accarezzavano tenendoci apppesi alle loro esili dita, continueranno senza freno a creare, ad usare e a gettare altri scarti come noi, rendendo sempre più numerosa la famiglia dei rifiuti.
Alcuni troveranno nuova linfa attraverso nuove mani, forse più amorevoli e pazienti delle prime, che intravedendo in loro altre potenzialità ed altri usi investiranno il loro entusiasmo e la loro fiducia su di essi, riciclandone l'esistenza e la speranza nei confronti del mondo. Il quale magari, un giorno, potrà finalmente smettere di essere vittima dell'ingordigia dell'umana specie e delle sue relative catastrofi.
Altri invece, la maggior parte, purtroppo, non potranno covare speranze: la loro è un'anima impossibile da riutilizzare, e quelli così una volta usati vanno cancellati, distrutti, emarginati.
Sono quelli più duri, perchè sono stati quelli più utili a questa società che educa all'uso e al consumo, ma che ingrata non lascia nessuna dignità una volta giunti al capolinea delle proprie funzioni.
C'è chi è stato fonte di energia, chi ha ben lubrificato gli ingranaggi pazzi di questa realtà meccanica, e chi ha assorbito ed arginato i meno nobili, ma anche i più comuni, dei prodotti umani.
Precari del consumo, fondamentali all'inutile accondiscendenza dei valori occidentali, ed inutili alla preservazione dei prinicpi di sopravvivenza dell'uomo come elemento di natura, questi dispensatori di progresso sono i veri martiri della modernità cui le stesse mani che li sfrutta fa riferimento, senza mai ricevere un "grazie" o uno "scusa" come riconoscimento.
Crudele è il destino dei rifiuti, costretti a restare inermi e sconsolati sul fondo di un giaciglio stretto e scuro, ma grande è la loro memoria, poiché è di essa che si nutre la civiltà. Che imperterrita continuerà ad essere testimone del nostro passaggio, carnefice della nostra esistenza, e vittima della nostra sovrabbondanza. Mentre noi, i rifiuti, continueremo ad esistere tra un passato di esigenze e desideri, un presente di merda e un futuro certo solo dei nostri dubbi e della nostra malinconia perpetua. Senza mai un "grazie", e senza mai uno "scusa".

Alla Prossima!
I Vostri Charlatani risentimentalisticistirifiucisticizzati

lunedì 7 novembre 2011

ALLUVIONE

 Dato che nella copertina del nostro primo lavoro vi è ripreso un suo palazzo, e che un Manna è genovese d'adozione, questa postata (e la relativa storia che la compone) è interamente dedicata al capoluogo ligure e a tutte quelle città e quelle famiglie colpite dalle alluvioni delle ultime settimane.



"Una cosa mai vista prima: il raduno di nubi e molecole d'acqua che si riunì quel giorno di tanto tempo fa.
Tutte li semplicemente per il piacere di stare insieme, senza poter godere dell'abbraccio reciproco e dell'affettuoso saluto di ognuna, ma comunque in armonia e in pace col sole, che quel giorno si prese un po' di meritato riposo.
La voce si sparse, e in men che non si dica ci trovammo ad essere sei milioni di volte il doppio di quante eravamo in principio.
Non so nemmeno come, ma ad un tratto alcune di noi cominciarono a guardar sotto di loro, scoprendo il mare.
Mi ricordai allora di quel gabbiano, uno dei pochi abbastanza coraggiosi da spingersi fin sopra le nuvole, che una volta mi raccontò che il mare altro non era se non  un concentrato denso di molecole d'acqua tutte strette tra loro in un abbraccio perenne, in costante unione ed entusiasticamente in dialogo con altri elementi terrestri quali le piante e le creature marine.
Prima di allora non avevo mai avuto modo di venirne a contatto, per cui fui molto sorpresa e felice di vedere finalmente quel maestoso spettacolo che univa cielo e terra sotto un unico disegno divino di natura.
Veniva quasi da abbracciarlo, il mare.
Probabilmente non fui l'unica a pensarla così, poiché alcune di noi, soprattutto le più giovani, che come sempre si rivelano essere le più entusiaste, ma anche le più inconscienti, ogni qualvolta ci sia da rapportarsi con qualcosa di sconosciuto, cominciarono a precipitarsi verso il basso, nel tentativo di potersi unire al mare e al fraterno abbraccio che lo compone.
Non tennero però conto di una cosa molto importante: per non perdersi in mezzo all'enorme folla che andava via via creandosi, alcune famiglie di molecole si legarono l'una all'altra con dei fiocchi di nebbia, e non appena una di queste venne coinvolta suo malgrado in quel tuffo gioioso e sconsiderato, trascinò con se tutta la famiglia, che poteva essere composta da un numero oscillante tra le quindici e le sessanta mila molecole. Questo moltiplicato almeno per trentasei milioni, tanto che in men che non si dica restammo incolumi al raduno soltanto in poche centinaia di milioni.
Ciò a cui assistemmo fu qualcosa di incredibilmente sconvolgente ed affascinante. Le molecole, man mano che cadevano, si univano sempre più solidamente le une alle altre, fino a formare un unico  battaglione rotondeggiante e umido il quale  si sarebbe poi riunito a sua volta con gli altri miliardi di battaglioni tuffatisi insieme, fino a fondersi per sempre nell'abbraccio salato del mare.
Alcune di noi superstiti si lasciarono imbonire da questo spettacolo e si lanciarono felici nel vuoto, andando così incontro ad un destino sconosciuto, ma dal quale non seppero assolutamente resistere.
Ormai il processo di scissione dal cielo era irrefrenabile, e il delirio raggiunse il suo apice quando anche alcune molecole di nubi cominciarono a staccarsi dal loro ceppo gassoso per partecipare alla festa, scatenando così le ire dei tuoni e dei fulmini che così sarebbero rimasti senza un giaciglio sul quale dormire.
Il vento, nel tentativo di placare gli animi, spostò il raduno nell'entroterra, sperando che la vista di qualcosa che non fosse il mare ponesse fine all'eccessivo fervore delle molecole ansiose di abbracciarsi fra loro, ma come ho già detto prima, il processo di scissione era ormai senza limiti.
Seppur senza una superficie liquida sulla quale cadere, le molecole continuarono senza sosta a gettarsi verso il basso, conscie che ormai una volta arrivate a destinazione sarebbero state tutte unite in un costante clima di solidarietà e amicizia infinita.
Così, in breve tempo, dove prima c'era una strada ora c'era un fiume, e dove prima prima c'era un fiume ora c'era un lago.
Come se non bastasse, alcune molecole d'acqua familiarizzarono con alcune zolle di terra, creandò  il fango, che per molte di loro divenne il simbolo del vero abbraccio fraterno tra cielo e terra e testimone della natura come l'unica autentica potenza del creato.
In questo clima di euforia sconsiderata, anche le più restie a gettarsi ebbero modo di smentirsi, così che dopo circa venti giorni si poteva ancora vedere orde e orde di molecole fare a gara a chi si sarebbe abbracciata per prima alla terra, o al mare, diventando così un tutt'uno col suolo.
Altre ne arrivarono, da tutte le parti del cielo, e sempre con lo stesso obiettivo: gettarsi, entusiasmarsi, unirsi ed abbracciarsi.
Ormai tutto era fuori da ogni controllo, e l'anarchia che regnava in cielo aveva preso piede anche sulla terra, tra devastazioni di campagne e traumatici sconvolgimenti dell'ecosistema che fino a solo poche settimane prima pareva essere inattaccabile, e che ora invece era solo un lontano ricordo.
I tuoni e i fulmini erano sempre più inalberati, il vento era completamente uscito di senno e le nubi erano si sempre più grosse, ma solo perchè le molecole continuavano ad arrivare e a costruisrsi trampolini che potessero permettere salti più acrobatici e unificazioni più celeri.
Anche il mare era visibilmente ingrossato rispetto all'inizio dello scempio, ma la cosa non pareva metterlo di buon umore, poiché correva il rischio di straripare al di fuori dei confini del pianeta, e di sperperare parti di se stesso in giro per l'universo proprio non gli andava. Per cui si lamentava e si dimenava con una tale violenza, che anche quei pochi lembi di terra rimasti vennero presto sommersi dalla sua rabbia, per la gioia delle molecole suicide e per il dolore delle forme di vita presenti sul suolo, condannate a perire subendo la potente audacia del desiderio di unione perenne di alcune poche molecole d'acqua incoscienti.
Senza alcuna pietà, la tempesta continuò a infierire per altri venti giorni, e quando tutto pareva ormai perduto, il sole tornò. Concentrandosi a più non posso sciolse il raduno, diradò le nubi, rasserenò il cielo, mise a dormire i tuoni e i fulmini, e calmò il mare fino a farlo ritirare negli spazi d'origine, facendo evaporare buona parte delle molecole gettatesi initerrottamente fino a poco tempo prima. Ciò ripopolò il cielo delle molecole perse, ma lasciò alla terra un paesaggio pieno solo di desolazione e bisognoso di tanto lavoro per poter essere riportato agli antichi splendori. Fu così che, come primo monito di buona volontà, le molecole d'acqua più sagge si unirono ad alcune molecole di luce in modo da formare il primo arcobaleno della storia, mentre il sole, irradiando ulteriormente la terra del calore necessario ad asciugarla, permise a Noè di aprire l'arca, di liberare gli animali affinchè potessero liberamente ripristinare gli antichi equilibri, e di compiere il primo passo verso quegli elementi di forza, fiducia e speranza che erano essenziali per poter credere in un domani migliore, in alleanza col sole e nel rispetto della natura". 


Alla Prossima!
I Vostri Charlatani Solidalluviogenovesisticizzati

lunedì 10 ottobre 2011

CIN CIN CHARLOTTE!


 Pensiero in prosa per festeggiare il dodecompleanno della band cui questo spazio fa riferimento e chiunque supporti e sopporti il progetto Charlotte Bean dal 1999.




A dodici anni si comincia appena a percepire l'emozinoe del vivere,
ma mai come in questa età si ha  forze ed entusiasmi necessari a distinguersi.


In dodici anni si combina di tutto e proprio per questo sembra di non aver ancora combinato niente:
fa parte del gioco, è caratteristica di ogni fanciullo imberbe, di ogni giovane ancora incosciente;
avere un senso di insoddisfazione, utile a fare quel passo in più che di un volo possa dare l'emozionante percezione.


A dodici anni inizia a prendere forma la coscienza,
a dodici anni si fa i conti con l'incoerenza,
a dodici anni è forte la baldanza,
che poi costituirà di tutti la sostanza.
Adulti non si diventa senza lasciar viva la parte infantile della nostra entità,
sennò addio crescita, e tanti saluti identità.


Si è ancora piccoli solo per anagrafe e per concezione di maturità,
eppure di esperienze quante se ne ha? 
Tante, tantissime: un'infinità.

Il gioco si fa serio, questa è la sola differenza.

A qualcuno sta bene, e qualcun'altro ne farebbe volentieri a meno.

Si entra in piena adolescenza:
nell'impertinenza dell'essere
piena dell'arroganza tipica della gioventù
che è come il sogno di un aquilone 
pretenzioso di avere dal futuro
qualcosa di più.
Racchiuso nella speranza di un miglioramento
si forma lo squilibrio che da ragione solo al sentimento
che senza colpo ferire
fa si che l'anima giocosa di un infante eccitato continui a farsi sentire.

A dodici anni prende piede l'idea di orgoglio e malinconia 
accompagnanti il passo di chiunque 
che 
con vigore
della vita
continui a percorrere ogni giorno la via:

"Poichè si è dispensatori di entusiasmo, di gioia, e di fervente creatività,
si può essere originali in tutto,
e dozzinali solo nell'età"




Alla Prossima!
I Vostri Charlatani dodecacompleannisticizzati