Il nostro breve viaggio nel mondo del diritto d'autore è arrivato al suo epilogo. Ringraziamo quindi Antonella de Robbio per la disponibilità e la meticolosa precisione delle sue risposte; e ci auguriamo che quest'iniziativa sia stata utile a tutti coloro che, come noi, abbiano il piacere di divulgare la propria arte senza paura di plagi o "furti".
- Credi che oggi il mondo del “diritto d'autore” sia al massimo della sua evoluzione, oppure c'è qualcosa che, secondo te, valga la pena di considerare per migliorarlo?
Il diritto d’autore è alla fine secondo me. La possibilità che le idee originali degli autori, contenute nei documenti, possano liberamente circolare è una funzione di rilevanza sociale che rientra nei diritti dell'uomo, ci dice Tito Ballarino per anni ordinario di diritto internazionale all’Università di Padova. Per citare un altro giurista, Andrea Rossato, docente di diritto privato comparato e fondatore della prima rivista giuridica europea interamente on-line (The Cardozo Electronic Law Bulletin) si occupa da anni di diritto delle nuove tecnologie ed analisi economica del diritto, da tempo parla di “morte del diritto d’autore”.
In effetti non ha tanto senso riferirsi ad un sistema radicato in un contesto sociale, economico e culturale ormai vecchio e inadeguato. Le norme che regolano il diritto d’autore non sono adatte al contesto ormai evolutosi e tuttora in evoluzione. Mentre per i brevetti la normativa si è adeguata al contesto economico, anche se con dei correttivi solo recentissimi (ultime settimane), per il diritto d’autore dovremmo cambiare rotta. L’Open Access è un modello, per l’ambito scientifico. Vanno studiati nuovi modelli di business che considerino i nuovi scenari tecnologici come un’opportunità e non come una minaccia. La dematerializzazione di molte componenti delle attività economiche (beni e servizi) dei paesi avanzati comporta necessariamente una rivisitazione dei modelli economici che interagiscono con la proprietà intellettuale. Il fenomeno della “lunga coda” ne è un tipico esempio.
Il diritto d’autore è frutto del contesto sociale, culturale ed economico in cui è incardinato e quindi al mutare di questo tessuto socio-culturale ed economico mutano le condizioni, è una sorta di patto sociale.
In un “vecchio” libro del 1997 che all’epoca fece molto scalpore - mi riferisco a Digerati: dialoghi di John Brockman – e che raccoglie una serie di interviste con gli artefici della nuova frontiera elettronica l’autore dice che nei secoli, la vita intellettuale è stata caratterizzata dal fatto che solo una cerchia ristretta di persone ha avuto il privilegio di pensare per tutti gli altri. Quello a cui assistiamo oggi è un passaggio epocale di consegne da un gruppo di pensatori, quelli che abbiamo chiamato letterati, a un nuovo gruppo: gli artefici della terza cultura. Chi sono questi nuovi intellettuali? I Digerati, un neologismo gergale composto dall'inglese digital e dal latino litterati oppure da digital e glitterati (gente alla moda), indicante i protagonisti della rivoluzione digitale e della nuova cultura informatica alla base di Internet.
Nel libro di Brockman i digerati intervistati ci raccontano come la proprietà intellettuale, intesa come copyright, nel tempo andrà sempre più affievolendosi fino a sparire entro le piattaforme del cyberspazio che vendono servizi a valore aggiunto. Modelli economici che saranno sempre più orientati all’acquisto di servizi piuttosto che di contenuti e quindi il concetto di proprietà intellettuale nel senso di copyright sparirà per lasciar posto a servizi personalizzati e ritagliati sull’utente o su categorie di utenti. E’ un fenomeno al quale stiamo già assistendo da tempo, a seguito della nascita nuove piattaforme multilaterali nel mercato economico dei servizi come Google per esempio che si sostiene grazie alla pubblicità.
Non va nemmeno trascurato il fenomeno legato all’avanzare delle reti sociali, al cosiddetto web 2.0 dove i diritti possono assumere forme diverse, sfiorando aspetti correlati alla tutela dei dati personali, alla privacy o alla gestione di diritti della collettività orientati al marketing.
Insomma, sono convinta che l’attuale modello su cui oggi si basa il sistema a diritto d’autore non potrà reggere molto, non lo considero quindi un sistema in evoluzione, ma in regressione. Non so se vi sarà un modello normativo oppure se il libero mercato stabilità meccanismi di auto-regolamentazione nei vari contesti.
-Parlaci anche un po' di te e dei tuoi progetti futuri.
Da tempo non mi definisco più “bibliotecaria”, bensì “specialista dell’informazione”, la rete è il mio spazio di libertà. Non essendo una “nativa digitale” per usare un termine alla Wired, mi considero comunque una “Digerata”, non di certo una immigrata digitale anche se sono cresciuta professionalmente prima delle tecnologie digitali e le ho adottate in un secondo tempo.
Non c’è tanto altro da dire.
Di progetti molti, e nascono dall’entusiasmo per la mia professione, che “curo” da oltre 30 anni, e dalla curiosità di scoprire cose sempre nuove. Il mio timore è di rimanere indietro, devo non solo guardare avanti, ma essere avanti “virtualmente”.
Avere un progetto significa avere uno scopo, questo vale sia per i progetti di “vita” sia per quelli “professionali” ma per chi si definisce “ricercatore” nel senso ampio del termine, spesso le due strade si sovrappongono.
I miei progetti sono progetti collaborativi, entro il gruppo italiano Open Access, dal mio team in E-LIS, l’archivio aperto internazionale per la Library and Information Science che ho messo in piedi nel 2003 insieme ad un gruppo di professionisti di vari Paesi, dalla redazione di AIB l’Associazione Italiana Biblioteche, e da quella di AIDA l’Associazione Italiana per la Documentazione Avanzata. Gli obiettivi dei progetti che mi frullano in testa, sempre nuovi, sono condivisi e tesi allo sviluppo di strumenti per il diritto di accesso all’informazione, per una scienza e cultura senza barriere, perché non c’è crescita senza condivisione.
- Grazie per la tua disponibilità. C'è qualcosa che non ti abbiamo chiesto e che terresti di poter dire?
Sì, vorrei aggiungere che credo molto nelle nuove generazioni e che nutro una grande fiducia per quello che i ragazzi di oggi riusciranno a cogliere di buono da questo momento di transizione, utile a costruire mondi interconnessi in spazi mentali aperti ed accoglienti.
Alla prossima!
I Vostri Charlatani Tutelasticizzati
sabato 8 maggio 2010
mercoledì 5 maggio 2010
Diritto di replica (?!) pt.2
Continua la nostra intervista ad Antonella de Robbio nell'ambito della tutela e della giurisdizione di idee.
-In Italia c'è un organo che spesso, all'orecchio de “l'uomo della strada”, pare essere l'unica risorsa nel campo delle tutele: la S.I.A.E. Puoi spiegarci brevemente che cos'è e qual è esattamente la sua funzione?
Non è facile spiegare cosa sia esattamente la SIAE e quali siano le sue funzioni, o meglio, ci vorrebbe una seria analisi anche normativa in merito ai poteri ad essa assegnati dalla legge. Ma una buona analisi e descrizione la si trova nel recentissimo documento dell’ AgCom su “Il diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica” recentemente pubblicato sul sito dell’Autorità, documento focalizzato sul tema della pirateria digitale che introduce una distinzione molto corretta tra streaming e downloading. La SIAE è deputata, per la sua natura di ente pubblico su base associativa, a perseguire specifici fini ontologicamente privatistici (ovvero, quelli degli associati) di tutela, soprattutto patrimoniale, delle opere dell’ingegno e – in generale - del diritto d’autore. Il nucleo delle funzioni attribuite istituzionalmente all’ente è costituito principalmente dall’attività, di natura privatistica, di intermediazione nell’utilizzazione economica delle opere protette da copyright: riproduzione digitale (CD e DVD), musica, spettacoli, mostre, teatro, lettura ad alta voce…
La SIAE è la Società Italiana degli Autori ed Editori, ma di fatto – erroneamente a quanto si pensa – non tutela gli autori o gli editori, in quanto è la legge che stabilisce la titolarità del diritti e di conseguenza definisce la tutelabilità delle opere. La SIAE non supporta nemmeno nei casi di plagio. Quello di cui si occupa è la gestione dei diritti per conto di autori ed editori.
Di fatto l’autore o il suo avente causa può esercitare personalmente i diritti riconosciuti dalla legge, oppure affidarne la tutela alla Società Italiana degli Autori e degli Editori come semplice associato oppure dando un Mandato effettivo alla SIAE. Un autore che opti per un mandato alla SIAE non è però più libero per esempio di esercitare direttamente i suoi diritti.
- Esistono degli organi alternativi?
Recentemente si sta parlando molto dell’AGCOM, l’Autorità per la Garanzia delle Comunicazioni che per la sua natura di autorità amministrativa indipendente, svolge, funzioni super partes di garanzia e vigilanza del sistema delle comunicazioni elettroniche (attraverso poteri istruttori, di accertamento e sanzionatori), al fine di assicurare il rispetto delle regole del mercato e dei consumatori; essa persegue fini pubblici, tutelando – contemperando tra loro- interessi costituzionalmente protetti.
Un ruolo molto diverso da quello della SIAE per certi versi però no è chiaro a chi spetti che cosa e dove i due enti si sovrappongano in ruoli e compiti. La norma è carente in merito, ma sembrerebbe che la competenza della SIAE concerne il porre in essere attività di tipo operativo e iniziative di cooperazione sulla base di uno schema istruttorio definito in ultima analisi dall’Autorità.
Poi, per citarne alcuni vi è l’AIE L’Associazione Italiana Editori (AIE) un’ associazione di categoria, aderente a Confindustria, con circa 420 soci copre circa il 90% del mercato librario italiano. Rappresenta, sul piano nazionale, le imprese che producono e gestiscono i contenuti, indipendentemente dal formato in cui sono veicolati, tutelando gli editori e facendo attività di consulenza. Dell’AIE fa parte anche EDISER una società di servizi che si occupa di formazione e monitoraggio dei dati.
AIDRO invece è una società per la gestione collettiva dei diritti che tutela i diritti di riproduzione delle opere librarie e periodiche. (non si occupa di digitale).
Ha due principali ambiti di attività:
• le azioni di contrasto contro la pirateria libraria
• la gestione, per conto degli autori ed editori associati, dei diritti di riproduzione in fotocopia delle opere librarie per uso professionale o commerciale, nei casi quindi che vanno oltre la riserva di legge concessa alla SIAE (uso personale entro il limite del 15% di ciascun libro o rivista). AIDRO offre un sistema di licenze studiato per soddisfare le diverse esigenze del mercato.
La FIMI Federazione Industria Musicale Italiana è una federazione che tutela e promuove le attività connesse all'industria discografica in generale e rappresenta circa 2500 imprese produttrici e distributrici in campo musicale.
Ma numerose sono le possibili associazioni, federazioni, società per la gestione collettiva dei diritti, sindacati associativi, nazionali o internazionali.
- Che cos'è il “Creative Commons”?
Creative Commons è un'organizzazione non-profit che opera nel pieno rispetto delle leggi esistenti.
Le licenze Creative Commons sono sei possono essere usate da artisti, giornalisti, docenti, istituzioni e, in genere, creatori che desiderino condividere in maniera ampia le proprie opere secondo il modello "alcuni diritti riservati". C’è molta confusione sull’uso di tali licenze. Le licenze Creative Commons sono un mezzo per educare l’utente che capita su una risorsa in rete a tenere un comportamento corretto. La licenza dice all’utente quello che può fare e quello che non può fare.
Poiché la legge è molto rigida, la licenza stabilisce invece cosa è possibile fare con quella risorsa (musica, testo, immagine che sia). Ci sono anche molti falsi luoghi comuni, si dice che dotando il proprio lavoro di una licenza CC si perdono i diritti. Nulla di più falso. La licenza serve solo a comunicare di chi sono i diritti e cosa l’utente può fare, allargando le eccezioni consentite dalla legge. Un’opera con licenza CC può essere riprodotta interamente. Il detentore dei diritti può non autorizzare a priori usi prevalentemente commerciali dell'opera o la creazione di opere derivate e qualora lo permetta, può imporre l'obbligo di rilasciarle con la stessa licenza dell'opera originaria. In Italia si è effettuato un attento lavoro normativo per calare le licenze entro la legge italiana sul diritto d’autore, assai diversa rispetto al modello statunitense noto come “copyright”. L’idea è di espandere la portata delle opere di creatività disponibili per la condivisione e l'utilizzo da parte di altri soggetti o utenti in generale, per offrire la possibilità di poter costruire, com'è sempre avvenuto prima che si abusasse della legge sul copyright, sul lavoro degli altri nel pieno rispetto delle leggi esistenti. E’ naturale che se si sono ceduti i diritti, magari in modo esclusivo ad un editore, non è possibile dotare di licenza CC il proprio contributo.
- Ad un nostro precedente incontro, accennavi qualcosa riguardo all'Open Access. Parlacene un po’.
Esiste una definizione precisa di Open Access, nota anche come definizione BBB che sta ad indicare i tre momenti (2001-2003) in cui tale definizione si è perfezionata, e cioè entro il Bethesda Meeting, la BOAI Budapest Open Access Iniziative, e la Berlin Declaration. In parole povere Open Access (Accesso Aperto) significa accesso libero e senza barriere al sapere scientifico. Si tratta di un movimento o, meglio, di una serie di strategie, nate all’interno del mondo accademico, il cui scopo è riguadagnare possesso della comunicazione scientifica offrendo libero accesso ai risultati della ricerca. Il costo delle pubblicazioni scientifiche è aumentato a dismisura negli ultimi decenni, abbiamo riviste scientifiche i cui abbonamenti annui sfiorano € 23.000. Da un’indagine europea il mercato dell’editoria scientifica è il mano per il 70% a soli 11 grossi editori (multinazionali). Attraverso l’OA si Sfruttano le potenzialità offerte dalla rete e gli articoli vengono resi accessibili senza le restrizioni e le barriere previste dalle licenze tradizionali che impediscono per esempio ai paesi in via di sviluppo l’accesso ai contenuti. Nel framework OA la disseminazione dell’informazione garantisce un reale impatto: più un articolo è liberamente scaricabile, più è letto, più viene citato. Questo favorisce la condivisione del sapere e quindi un più rapido avanzamento della conoscenza, senza barriere, in tutto il mondo.
Due sono le strategie di pubblicazione o i canali dell’Accesso Aperto:
- La via verde: l’autoarchiviazione in archivi aperti: archivi digitali a carattere istituzionale o disciplinare, vi si deposita il pre-print o il post print dell’articolo in accordo con le politiche di copyright dell’editore
- La via d’oro: pubblicazione su riviste ad Accesso Aperto, che garantiscono la peer review ma adottano un diverso modello economico: nessun pagamento richiesto per accedere ai testi, i costi di pubblicazione sono coperti da una quota versata dall’autore o dalla sua istituzione (la tendenza è di ricomprendere i costi di pubblicazione nel budget iniziale stanziato per la ricerca)
...E non finisce qui...
-In Italia c'è un organo che spesso, all'orecchio de “l'uomo della strada”, pare essere l'unica risorsa nel campo delle tutele: la S.I.A.E. Puoi spiegarci brevemente che cos'è e qual è esattamente la sua funzione?
Non è facile spiegare cosa sia esattamente la SIAE e quali siano le sue funzioni, o meglio, ci vorrebbe una seria analisi anche normativa in merito ai poteri ad essa assegnati dalla legge. Ma una buona analisi e descrizione la si trova nel recentissimo documento dell’ AgCom su “Il diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica” recentemente pubblicato sul sito dell’Autorità, documento focalizzato sul tema della pirateria digitale che introduce una distinzione molto corretta tra streaming e downloading. La SIAE è deputata, per la sua natura di ente pubblico su base associativa, a perseguire specifici fini ontologicamente privatistici (ovvero, quelli degli associati) di tutela, soprattutto patrimoniale, delle opere dell’ingegno e – in generale - del diritto d’autore. Il nucleo delle funzioni attribuite istituzionalmente all’ente è costituito principalmente dall’attività, di natura privatistica, di intermediazione nell’utilizzazione economica delle opere protette da copyright: riproduzione digitale (CD e DVD), musica, spettacoli, mostre, teatro, lettura ad alta voce…
La SIAE è la Società Italiana degli Autori ed Editori, ma di fatto – erroneamente a quanto si pensa – non tutela gli autori o gli editori, in quanto è la legge che stabilisce la titolarità del diritti e di conseguenza definisce la tutelabilità delle opere. La SIAE non supporta nemmeno nei casi di plagio. Quello di cui si occupa è la gestione dei diritti per conto di autori ed editori.
Di fatto l’autore o il suo avente causa può esercitare personalmente i diritti riconosciuti dalla legge, oppure affidarne la tutela alla Società Italiana degli Autori e degli Editori come semplice associato oppure dando un Mandato effettivo alla SIAE. Un autore che opti per un mandato alla SIAE non è però più libero per esempio di esercitare direttamente i suoi diritti.
- Esistono degli organi alternativi?
Recentemente si sta parlando molto dell’AGCOM, l’Autorità per la Garanzia delle Comunicazioni che per la sua natura di autorità amministrativa indipendente, svolge, funzioni super partes di garanzia e vigilanza del sistema delle comunicazioni elettroniche (attraverso poteri istruttori, di accertamento e sanzionatori), al fine di assicurare il rispetto delle regole del mercato e dei consumatori; essa persegue fini pubblici, tutelando – contemperando tra loro- interessi costituzionalmente protetti.
Un ruolo molto diverso da quello della SIAE per certi versi però no è chiaro a chi spetti che cosa e dove i due enti si sovrappongano in ruoli e compiti. La norma è carente in merito, ma sembrerebbe che la competenza della SIAE concerne il porre in essere attività di tipo operativo e iniziative di cooperazione sulla base di uno schema istruttorio definito in ultima analisi dall’Autorità.
Poi, per citarne alcuni vi è l’AIE L’Associazione Italiana Editori (AIE) un’ associazione di categoria, aderente a Confindustria, con circa 420 soci copre circa il 90% del mercato librario italiano. Rappresenta, sul piano nazionale, le imprese che producono e gestiscono i contenuti, indipendentemente dal formato in cui sono veicolati, tutelando gli editori e facendo attività di consulenza. Dell’AIE fa parte anche EDISER una società di servizi che si occupa di formazione e monitoraggio dei dati.
AIDRO invece è una società per la gestione collettiva dei diritti che tutela i diritti di riproduzione delle opere librarie e periodiche. (non si occupa di digitale).
Ha due principali ambiti di attività:
• le azioni di contrasto contro la pirateria libraria
• la gestione, per conto degli autori ed editori associati, dei diritti di riproduzione in fotocopia delle opere librarie per uso professionale o commerciale, nei casi quindi che vanno oltre la riserva di legge concessa alla SIAE (uso personale entro il limite del 15% di ciascun libro o rivista). AIDRO offre un sistema di licenze studiato per soddisfare le diverse esigenze del mercato.
La FIMI Federazione Industria Musicale Italiana è una federazione che tutela e promuove le attività connesse all'industria discografica in generale e rappresenta circa 2500 imprese produttrici e distributrici in campo musicale.
Ma numerose sono le possibili associazioni, federazioni, società per la gestione collettiva dei diritti, sindacati associativi, nazionali o internazionali.
- Che cos'è il “Creative Commons”?
Creative Commons è un'organizzazione non-profit che opera nel pieno rispetto delle leggi esistenti.
Le licenze Creative Commons sono sei possono essere usate da artisti, giornalisti, docenti, istituzioni e, in genere, creatori che desiderino condividere in maniera ampia le proprie opere secondo il modello "alcuni diritti riservati". C’è molta confusione sull’uso di tali licenze. Le licenze Creative Commons sono un mezzo per educare l’utente che capita su una risorsa in rete a tenere un comportamento corretto. La licenza dice all’utente quello che può fare e quello che non può fare.
Poiché la legge è molto rigida, la licenza stabilisce invece cosa è possibile fare con quella risorsa (musica, testo, immagine che sia). Ci sono anche molti falsi luoghi comuni, si dice che dotando il proprio lavoro di una licenza CC si perdono i diritti. Nulla di più falso. La licenza serve solo a comunicare di chi sono i diritti e cosa l’utente può fare, allargando le eccezioni consentite dalla legge. Un’opera con licenza CC può essere riprodotta interamente. Il detentore dei diritti può non autorizzare a priori usi prevalentemente commerciali dell'opera o la creazione di opere derivate e qualora lo permetta, può imporre l'obbligo di rilasciarle con la stessa licenza dell'opera originaria. In Italia si è effettuato un attento lavoro normativo per calare le licenze entro la legge italiana sul diritto d’autore, assai diversa rispetto al modello statunitense noto come “copyright”. L’idea è di espandere la portata delle opere di creatività disponibili per la condivisione e l'utilizzo da parte di altri soggetti o utenti in generale, per offrire la possibilità di poter costruire, com'è sempre avvenuto prima che si abusasse della legge sul copyright, sul lavoro degli altri nel pieno rispetto delle leggi esistenti. E’ naturale che se si sono ceduti i diritti, magari in modo esclusivo ad un editore, non è possibile dotare di licenza CC il proprio contributo.
- Ad un nostro precedente incontro, accennavi qualcosa riguardo all'Open Access. Parlacene un po’.
Esiste una definizione precisa di Open Access, nota anche come definizione BBB che sta ad indicare i tre momenti (2001-2003) in cui tale definizione si è perfezionata, e cioè entro il Bethesda Meeting, la BOAI Budapest Open Access Iniziative, e la Berlin Declaration. In parole povere Open Access (Accesso Aperto) significa accesso libero e senza barriere al sapere scientifico. Si tratta di un movimento o, meglio, di una serie di strategie, nate all’interno del mondo accademico, il cui scopo è riguadagnare possesso della comunicazione scientifica offrendo libero accesso ai risultati della ricerca. Il costo delle pubblicazioni scientifiche è aumentato a dismisura negli ultimi decenni, abbiamo riviste scientifiche i cui abbonamenti annui sfiorano € 23.000. Da un’indagine europea il mercato dell’editoria scientifica è il mano per il 70% a soli 11 grossi editori (multinazionali). Attraverso l’OA si Sfruttano le potenzialità offerte dalla rete e gli articoli vengono resi accessibili senza le restrizioni e le barriere previste dalle licenze tradizionali che impediscono per esempio ai paesi in via di sviluppo l’accesso ai contenuti. Nel framework OA la disseminazione dell’informazione garantisce un reale impatto: più un articolo è liberamente scaricabile, più è letto, più viene citato. Questo favorisce la condivisione del sapere e quindi un più rapido avanzamento della conoscenza, senza barriere, in tutto il mondo.
Due sono le strategie di pubblicazione o i canali dell’Accesso Aperto:
- La via verde: l’autoarchiviazione in archivi aperti: archivi digitali a carattere istituzionale o disciplinare, vi si deposita il pre-print o il post print dell’articolo in accordo con le politiche di copyright dell’editore
- La via d’oro: pubblicazione su riviste ad Accesso Aperto, che garantiscono la peer review ma adottano un diverso modello economico: nessun pagamento richiesto per accedere ai testi, i costi di pubblicazione sono coperti da una quota versata dall’autore o dalla sua istituzione (la tendenza è di ricomprendere i costi di pubblicazione nel budget iniziale stanziato per la ricerca)
...E non finisce qui...
domenica 2 maggio 2010
Diritto di replica (?!) pt. 1
A più di un anno dalla nascita di questo spazio, abbiamo ben pensato di occuparci del diritto d'autore. Un argomento annoso e che, per chiunque faccia una qualsiasi attività artistica e non, rappresenta spesso un aspetto poco piacevole del proprio lavoro.
Per parlarne ci siamo rivolti ad Antonella de Robbio,coordinatrice delle biblioteche del Polo Giuridico dell'Università di Padova, nonchè tra i fondatori del movimento Open Access ed esperta in campo legislativo, storico e burocratico di tutto ciò che riguarda la prevenzione e la tutela della "paternità creativa".
Nei giorni a seguire avrete modo di leggere per intero le dieci domande che le abbiamo posto e che compongono quella che doveva essere un'intervista, e che in poco tempo ha assunto la dimensione di vera e propria formazione.
Ci auguriamo quindi che ciò vi sia utile, almeno la metà di quanto lo sia per noi.
Buona lettura!
-Proprietà intellettiva, diritto d'autore e copyright: esattamente in cosa sono differenti?
La proprietà intellettuale è un sistema normativo complesso che regola due differenti ambiti:
- La proprietà intellettuale industriale: quella che si riferisce ai marchi, ai brevetti, ai disegni industriali o al design della moda
- La proprietà intellettuale artistica e letteraria: è la sfera definita come a “diritto d’autore” o anche “copyright” (ma poi vedremo le differenze tra questi due termini). Qui si colloca tutto ciò che è prodotto dell’ingegno come la pittura, la scultura, musica, la fotografia, il cinema, e la letteratura, compresa anche la letteratura “scientifica” (nel senso di accademica). Libri, riviste, articoli pubblicati su riviste, saggi, lavori presentati a conferenze, report, preprint, dispense e lezioni, insomma si tratta di materiale che rientra in questa sfera. Nelle università le produzioni intellettuali rientrano per il 95% nella pubblicista, cioè appunto nel diritto d’autore, il resto attiene ai brevetti in quanto “invenzioni”.
Nella proprietà industriale ciò che viene tutelata è l’idea, mentre nel diritto d’autore è la forma dell’idea ad essere oggetto di tutela. Sono due modalità profondamente differenti e del resto parliamo di due corpi di norme differenti che – pur rientrando sotto un cappello comune di proprietà intellettuale a livello internazionale – hanno regolamenti assai diversi. La proprietà intellettuale viene regolata da un Codice che è la Legge 130 del 2005 il cui regolamento attuativo, proprio in questi giorni, è oggetto di profonde modifiche per allineare il nostro Paese a quanto stabilito dalla Direttiva Europea, ma anche per adeguarci a quanto stabilito in sede di Strategia di Lisbona nel 2000.
La proprietà artistica e letteraria, o diritto d’autore è invece regolata da una norma, la legge 633 del 1941 che ha subito numerosissimi interventi a seguito di modifiche interne, recepimento di direttive europee, adeguamenti a trattati internazionali. Ma soprattutto di recente, un cattivo uso di strumenti legislativi tra i più vari sono via via intervenuti a modificarne l’impianto originario nel tentativo (spesso maldestro) di favorire lobby di mercato preoccupate per i propri interessi economici danneggiati dall’avanzare dello sviluppo della tecnologia (fenomeno della pirateria).
La norma attuale che regola il nostro sistema italiano a diritto d’autore non è un Testo Unico e da alcuni giuristi è definita come “il mantello di Arlecchino” proprio per i frequenti rattoppi operati che la rendono per certi versi ambigua e incoerente.
Di fatto mentre nella proprietà industriale si tutela l’idea, nel diritto d’autore la tutela agisce sulla sua forma. Inoltre nella proprietà industriale l’idea deve essere “innovativa” e quindi cambiare lo stato dell’arte e della tecnica, deve esserci una invenzione nell’idea, qualcosa che prima non esisteva, quantomeno non in quella modalità. L’idea deve poter generare qualche cosa che poi sia applicabile su vasta scala, per esempio un prodotto industriale o farmaceutico che poi sia distribuito sotto forma di brevetto a tutta la collettività.
Come vedi è molto diverso rispetto a un’opera letteraria, o artistica che invece deve avere carattere di “originalità” deve quindi essere creativa, ma sicuramente non ci cambia la vita a livello pragmatico. L’invenzione del frigorifero ci ha cambiato la vita, o il motore a scoppio o l’aspirina (acido acetilsalicilico), anche un buon libro ci può cambiare la vita sicuramente, ma in modo diverso ;-)
Il diritto d’autore è quindi un sistema che accorda all’autore tutti i diritti e rientra come corpo normativo entro il più ampio sistema della proprietà intellettuale.
La titolarità dei diritti spetta all’autore dell’opera che non ha obbligo di registrazione per far valere la titolarità sull’opera da lui creata. Si divide sostanzialmente in due sfere:
- Diritto morale: diritto di pubblicazione, diritto all’inedito, diritto ad essere riconosciuto come autore
- Diritti economici: traduzione, distribuzione, messa su web, diffusione, prestito, riproduzione, rielaborazione, adattamento …
Il diritto morale è il cordone ombelicale che lega l’opera al suo autore e nel nostro sistema è un rapporto fortissimo che determina l’assetto normativo italiano e anche per certi versi europeo e lo differenzia dal sistema anglosassone detto invece “copyright”.
E’ comunque invalso l’uso di definire con il termine “copyright” i diritti economici, questo perché il dibattito degli economisti ha tentato nel corso degli anni di ricondurre entro un discorso più ampio di “mercato delle idee” ciò che erano i prodotti dell’ingegno e le opere che a seguito di una fruizione da parte dell’utenza potessero in qualche modo remunerare l’autore.
I diritti d’autore durano 70 anni dopo la morte dell’autore e corrono lungo l’asse ereditario, i diritti editoriali hanno un massimo stabilito dalla legge pari a 20 anni, ma possono essere appunto regolati nel contratto tra autore ed editore.
Il Copyright invece è un sistema normativo proprio dei Paesi anglosassoni basati sulla Common Law e sull’istituto del Fair Use, che non vige in Europa.
In Europa e in Italia, abbiamo un sistema che prevede “eccezioni” ai diritti che sono degli autori o, nel caso l’autore abbia ceduto i diritti a una figura terza (editore per esempio). Le eccezioni si riferiscono ad alcuni diritti per esempio la riproduzione (fotocopie) o il prestito e sono stabilite dalla legge per certe categorie come l’uso personale, le persone con disabilità, le biblioteche.
In Italia le eccezioni per ricerca e didattica sono ridotte all’osso. Per questo il diritto di accesso all’informazione è gravemente compromesso in particolare a seguito della legge 248/2000 che ha cassato le “libere utilizzazioni” prima territorio delle biblioteche e dell’uso personale.
- Sei una grande esperta in questo campo: cosa consiglieresti di fare ad un artista che vuole tutelare le proprie opere?
Essendo tra i fondatori dell’Open Access(OA) in Italia e comunque coinvolta nel Movimento OA fin dal suo sorgere, ritengo che le opere debbano essere accessibili alla collettività, questo per un progresso della scienza e della tecnica.
Mi rendo conto comunque che se questo vale per la scienza e, in parte anche per la tecnologia, per le opere a carattere artistico non è sempre vero. Un autore può dedicare la sua vita, non solo professionale, per la creazione di opere che poi giustamente devono in qualche modo essere remunerate se fruite dal pubblico: è il caso dell’arte, spettacolo, musica.
E’ anche vero che l’attuale sistema che vieta una serie di azioni conduce un’intera generazione di giovani ad essere assimilatati a dei “pirati”, una brutta etichetta, brutto termine, proprio perché non si vuole capire che la tecnologia avanza alla velocità della luce quasi e che le nuove generazioni sono praticamente immerse, permeate dalla tecnologia. Definire tutti pirati è anacronistico.
Forse il rovesciamento della piramide dell’attuale sistema normativa, potrebbe davvero condurre ad una rivoluzione anche “economica”. Non dobbiamo dimenticare che sistema normativo e economia sono strettamente correlati.
Ritengo che saranno gli stessi artisti d’avanguardia a dettare nuove regole “de facto” in merito alla gestione dei diritti sulle loro opere e alle condizioni di fruibilità e di conseguenza al loro potere economico anche in termini di economie di scala e nuove nicchie di mercato.
In altri termini ad un artista direi di immettersi in uno dei network per lavori collaborativi, tra artisti, un po’ quello che è sempre successo nei movimenti artisti che hanno caratterizzato l’arte del Novecento, solo che ora si va verso un mondo digitale prima sconosciuto con delle potenzialità ancora in gran parte inesplorate. Arte digitale libera e remigata e questo vale anche per la musica, ma non solo. I nuovi processi creativi si basano su tecniche quali la manipolazione, la replicazione, la sintetizzazione, ma soprattutto la condivisione di contenuti, ma anche degli stessi processi all’interno di una congiuntura totalizzante che è propria dell’atto creativo. Solo così possiamo mantenere le radici culturali andando verso un futuro innovativo anche per l’arte.
Derrick de Kerckhove, sociologo belga, che promuove nuove forme di espressione artistica, che uniscano le arti, l'ingegneria e le nuove tecnologie di telecomunicazione, ci insegna che laddove le nuove tecnologie abilitano modelli fondati sull’autodeterminazione e sulla condivisione di risorse e conoscenze, il realizzarsi di questa possibilità si scontra da un lato con la
resistenza delle strutture economiche, politiche e legislative esistenti, dall’altro con un divide squisitamente culturale e di linguaggio. Copyright e processi di produzione artistico-culturale
catalizzano spesso queste tensioni di fondo.
- E più precisamente in campo musicale?
Guarda, vale lo stesso discorso fatto per l’arte in generale. Ma qui abbiamo anche la componente “fruizione di rete” molto forte, cioè il popolo della rete che usa musica, la scarica, la riproduce, in modo spesso “considerato” illegale. I. mercato economico dovrà adeguarsi e a riguardo recentemente si sono registrati dei timidi cambiamenti, come quelli introdotti dalla Apple che ha rimosso i DRM dai file musicali. Il fatto però che si possano rendere disponibili file musicali senza i vincoli del Digital Rights Management (DRM) non significa che decadano i diritti d’autore legati ai brani musicali messi in commercio. Ma di fatto poco cambia, la musica resta di proprietà di chi ne detiene i diritti, come qualsiasi altra opera dell’ ingegno, e gli utenti che decidono di comprarla hanno a loro volta il diritto di poter usufruire liberamente, in sede privata, dei brani acquistati, se non altro per effettuare copie personali di backup.
Resta comunque illegale la duplicazione in serie e la diffusione ad altri, in rete o via telematica, di brani di cui si possiede solo l’autorizzazione all’uso personale.
Allora mi vengono in mente i tre capisaldi del Lessig-pensiero: riforma del copyright, neutralità della rete e Open Government. Lawrence Lessig docente ad Harvard e Stanford è uno dei massimi esperti di copyright nel mondo, oltre che un guru della rete, ed è stato invitato recentemente (11 marzo 2010) a tenere una lectio magistralis dall’eloquente titolo “Internet e Libertà” alla Camera dei Deputati. Il suo particolare tipo di attivismo lo ha condotto a inventarsi un nuovo sistema di protezione della proprietà intellettuale, le Creative Commons, di cui parleremo più avanti.
“Fare la guerra a Internet significa fare la guerra ai nostri figli: non possiamo impedire ai nostri figli di essere creativi, ma se criminalizziamo la tecnologia, rendiamo i nostri figli pirati e clandestini.” I nostri figli sono i “nativi digitali” perché sono nati con le tecnologie digitali, non sono come noi che le abbiamo adottate strada facendo, in quanto siamo nati prima di queste tecnologie che popolano il cyberspazio.
Le parole con cui Lawrence Lessig, fondatore di Creative Commons, ha concluso il suo speech a Montecitorio, sottolineano come attualmente il maggiore divario nel mondo è dato dalla separazione tra generazioni piuttosto che dalla separazione tra nazioni. E in particolare questo comportamento si riferisce alla musica laddove i ragazzi vivono in un’era di proibizione: la loro vita la vivono sempre contro la legge. E tutto questo corrode alle basi la democrazia e lo stato di diritto.
..To be continued...
Per parlarne ci siamo rivolti ad Antonella de Robbio,coordinatrice delle biblioteche del Polo Giuridico dell'Università di Padova, nonchè tra i fondatori del movimento Open Access ed esperta in campo legislativo, storico e burocratico di tutto ciò che riguarda la prevenzione e la tutela della "paternità creativa".
Nei giorni a seguire avrete modo di leggere per intero le dieci domande che le abbiamo posto e che compongono quella che doveva essere un'intervista, e che in poco tempo ha assunto la dimensione di vera e propria formazione.
Ci auguriamo quindi che ciò vi sia utile, almeno la metà di quanto lo sia per noi.
Buona lettura!
-Proprietà intellettiva, diritto d'autore e copyright: esattamente in cosa sono differenti?
La proprietà intellettuale è un sistema normativo complesso che regola due differenti ambiti:
- La proprietà intellettuale industriale: quella che si riferisce ai marchi, ai brevetti, ai disegni industriali o al design della moda
- La proprietà intellettuale artistica e letteraria: è la sfera definita come a “diritto d’autore” o anche “copyright” (ma poi vedremo le differenze tra questi due termini). Qui si colloca tutto ciò che è prodotto dell’ingegno come la pittura, la scultura, musica, la fotografia, il cinema, e la letteratura, compresa anche la letteratura “scientifica” (nel senso di accademica). Libri, riviste, articoli pubblicati su riviste, saggi, lavori presentati a conferenze, report, preprint, dispense e lezioni, insomma si tratta di materiale che rientra in questa sfera. Nelle università le produzioni intellettuali rientrano per il 95% nella pubblicista, cioè appunto nel diritto d’autore, il resto attiene ai brevetti in quanto “invenzioni”.
Nella proprietà industriale ciò che viene tutelata è l’idea, mentre nel diritto d’autore è la forma dell’idea ad essere oggetto di tutela. Sono due modalità profondamente differenti e del resto parliamo di due corpi di norme differenti che – pur rientrando sotto un cappello comune di proprietà intellettuale a livello internazionale – hanno regolamenti assai diversi. La proprietà intellettuale viene regolata da un Codice che è la Legge 130 del 2005 il cui regolamento attuativo, proprio in questi giorni, è oggetto di profonde modifiche per allineare il nostro Paese a quanto stabilito dalla Direttiva Europea, ma anche per adeguarci a quanto stabilito in sede di Strategia di Lisbona nel 2000.
La proprietà artistica e letteraria, o diritto d’autore è invece regolata da una norma, la legge 633 del 1941 che ha subito numerosissimi interventi a seguito di modifiche interne, recepimento di direttive europee, adeguamenti a trattati internazionali. Ma soprattutto di recente, un cattivo uso di strumenti legislativi tra i più vari sono via via intervenuti a modificarne l’impianto originario nel tentativo (spesso maldestro) di favorire lobby di mercato preoccupate per i propri interessi economici danneggiati dall’avanzare dello sviluppo della tecnologia (fenomeno della pirateria).
La norma attuale che regola il nostro sistema italiano a diritto d’autore non è un Testo Unico e da alcuni giuristi è definita come “il mantello di Arlecchino” proprio per i frequenti rattoppi operati che la rendono per certi versi ambigua e incoerente.
Di fatto mentre nella proprietà industriale si tutela l’idea, nel diritto d’autore la tutela agisce sulla sua forma. Inoltre nella proprietà industriale l’idea deve essere “innovativa” e quindi cambiare lo stato dell’arte e della tecnica, deve esserci una invenzione nell’idea, qualcosa che prima non esisteva, quantomeno non in quella modalità. L’idea deve poter generare qualche cosa che poi sia applicabile su vasta scala, per esempio un prodotto industriale o farmaceutico che poi sia distribuito sotto forma di brevetto a tutta la collettività.
Come vedi è molto diverso rispetto a un’opera letteraria, o artistica che invece deve avere carattere di “originalità” deve quindi essere creativa, ma sicuramente non ci cambia la vita a livello pragmatico. L’invenzione del frigorifero ci ha cambiato la vita, o il motore a scoppio o l’aspirina (acido acetilsalicilico), anche un buon libro ci può cambiare la vita sicuramente, ma in modo diverso ;-)
Il diritto d’autore è quindi un sistema che accorda all’autore tutti i diritti e rientra come corpo normativo entro il più ampio sistema della proprietà intellettuale.
La titolarità dei diritti spetta all’autore dell’opera che non ha obbligo di registrazione per far valere la titolarità sull’opera da lui creata. Si divide sostanzialmente in due sfere:
- Diritto morale: diritto di pubblicazione, diritto all’inedito, diritto ad essere riconosciuto come autore
- Diritti economici: traduzione, distribuzione, messa su web, diffusione, prestito, riproduzione, rielaborazione, adattamento …
Il diritto morale è il cordone ombelicale che lega l’opera al suo autore e nel nostro sistema è un rapporto fortissimo che determina l’assetto normativo italiano e anche per certi versi europeo e lo differenzia dal sistema anglosassone detto invece “copyright”.
E’ comunque invalso l’uso di definire con il termine “copyright” i diritti economici, questo perché il dibattito degli economisti ha tentato nel corso degli anni di ricondurre entro un discorso più ampio di “mercato delle idee” ciò che erano i prodotti dell’ingegno e le opere che a seguito di una fruizione da parte dell’utenza potessero in qualche modo remunerare l’autore.
I diritti d’autore durano 70 anni dopo la morte dell’autore e corrono lungo l’asse ereditario, i diritti editoriali hanno un massimo stabilito dalla legge pari a 20 anni, ma possono essere appunto regolati nel contratto tra autore ed editore.
Il Copyright invece è un sistema normativo proprio dei Paesi anglosassoni basati sulla Common Law e sull’istituto del Fair Use, che non vige in Europa.
In Europa e in Italia, abbiamo un sistema che prevede “eccezioni” ai diritti che sono degli autori o, nel caso l’autore abbia ceduto i diritti a una figura terza (editore per esempio). Le eccezioni si riferiscono ad alcuni diritti per esempio la riproduzione (fotocopie) o il prestito e sono stabilite dalla legge per certe categorie come l’uso personale, le persone con disabilità, le biblioteche.
In Italia le eccezioni per ricerca e didattica sono ridotte all’osso. Per questo il diritto di accesso all’informazione è gravemente compromesso in particolare a seguito della legge 248/2000 che ha cassato le “libere utilizzazioni” prima territorio delle biblioteche e dell’uso personale.
- Sei una grande esperta in questo campo: cosa consiglieresti di fare ad un artista che vuole tutelare le proprie opere?
Essendo tra i fondatori dell’Open Access(OA) in Italia e comunque coinvolta nel Movimento OA fin dal suo sorgere, ritengo che le opere debbano essere accessibili alla collettività, questo per un progresso della scienza e della tecnica.
Mi rendo conto comunque che se questo vale per la scienza e, in parte anche per la tecnologia, per le opere a carattere artistico non è sempre vero. Un autore può dedicare la sua vita, non solo professionale, per la creazione di opere che poi giustamente devono in qualche modo essere remunerate se fruite dal pubblico: è il caso dell’arte, spettacolo, musica.
E’ anche vero che l’attuale sistema che vieta una serie di azioni conduce un’intera generazione di giovani ad essere assimilatati a dei “pirati”, una brutta etichetta, brutto termine, proprio perché non si vuole capire che la tecnologia avanza alla velocità della luce quasi e che le nuove generazioni sono praticamente immerse, permeate dalla tecnologia. Definire tutti pirati è anacronistico.
Forse il rovesciamento della piramide dell’attuale sistema normativa, potrebbe davvero condurre ad una rivoluzione anche “economica”. Non dobbiamo dimenticare che sistema normativo e economia sono strettamente correlati.
Ritengo che saranno gli stessi artisti d’avanguardia a dettare nuove regole “de facto” in merito alla gestione dei diritti sulle loro opere e alle condizioni di fruibilità e di conseguenza al loro potere economico anche in termini di economie di scala e nuove nicchie di mercato.
In altri termini ad un artista direi di immettersi in uno dei network per lavori collaborativi, tra artisti, un po’ quello che è sempre successo nei movimenti artisti che hanno caratterizzato l’arte del Novecento, solo che ora si va verso un mondo digitale prima sconosciuto con delle potenzialità ancora in gran parte inesplorate. Arte digitale libera e remigata e questo vale anche per la musica, ma non solo. I nuovi processi creativi si basano su tecniche quali la manipolazione, la replicazione, la sintetizzazione, ma soprattutto la condivisione di contenuti, ma anche degli stessi processi all’interno di una congiuntura totalizzante che è propria dell’atto creativo. Solo così possiamo mantenere le radici culturali andando verso un futuro innovativo anche per l’arte.
Derrick de Kerckhove, sociologo belga, che promuove nuove forme di espressione artistica, che uniscano le arti, l'ingegneria e le nuove tecnologie di telecomunicazione, ci insegna che laddove le nuove tecnologie abilitano modelli fondati sull’autodeterminazione e sulla condivisione di risorse e conoscenze, il realizzarsi di questa possibilità si scontra da un lato con la
resistenza delle strutture economiche, politiche e legislative esistenti, dall’altro con un divide squisitamente culturale e di linguaggio. Copyright e processi di produzione artistico-culturale
catalizzano spesso queste tensioni di fondo.
- E più precisamente in campo musicale?
Guarda, vale lo stesso discorso fatto per l’arte in generale. Ma qui abbiamo anche la componente “fruizione di rete” molto forte, cioè il popolo della rete che usa musica, la scarica, la riproduce, in modo spesso “considerato” illegale. I. mercato economico dovrà adeguarsi e a riguardo recentemente si sono registrati dei timidi cambiamenti, come quelli introdotti dalla Apple che ha rimosso i DRM dai file musicali. Il fatto però che si possano rendere disponibili file musicali senza i vincoli del Digital Rights Management (DRM) non significa che decadano i diritti d’autore legati ai brani musicali messi in commercio. Ma di fatto poco cambia, la musica resta di proprietà di chi ne detiene i diritti, come qualsiasi altra opera dell’ ingegno, e gli utenti che decidono di comprarla hanno a loro volta il diritto di poter usufruire liberamente, in sede privata, dei brani acquistati, se non altro per effettuare copie personali di backup.
Resta comunque illegale la duplicazione in serie e la diffusione ad altri, in rete o via telematica, di brani di cui si possiede solo l’autorizzazione all’uso personale.
Allora mi vengono in mente i tre capisaldi del Lessig-pensiero: riforma del copyright, neutralità della rete e Open Government. Lawrence Lessig docente ad Harvard e Stanford è uno dei massimi esperti di copyright nel mondo, oltre che un guru della rete, ed è stato invitato recentemente (11 marzo 2010) a tenere una lectio magistralis dall’eloquente titolo “Internet e Libertà” alla Camera dei Deputati. Il suo particolare tipo di attivismo lo ha condotto a inventarsi un nuovo sistema di protezione della proprietà intellettuale, le Creative Commons, di cui parleremo più avanti.
“Fare la guerra a Internet significa fare la guerra ai nostri figli: non possiamo impedire ai nostri figli di essere creativi, ma se criminalizziamo la tecnologia, rendiamo i nostri figli pirati e clandestini.” I nostri figli sono i “nativi digitali” perché sono nati con le tecnologie digitali, non sono come noi che le abbiamo adottate strada facendo, in quanto siamo nati prima di queste tecnologie che popolano il cyberspazio.
Le parole con cui Lawrence Lessig, fondatore di Creative Commons, ha concluso il suo speech a Montecitorio, sottolineano come attualmente il maggiore divario nel mondo è dato dalla separazione tra generazioni piuttosto che dalla separazione tra nazioni. E in particolare questo comportamento si riferisce alla musica laddove i ragazzi vivono in un’era di proibizione: la loro vita la vivono sempre contro la legge. E tutto questo corrode alle basi la democrazia e lo stato di diritto.
..To be continued...
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