domenica 2 maggio 2010

Diritto di replica (?!) pt. 1

A più di un anno dalla nascita di questo spazio, abbiamo ben pensato di occuparci del diritto d'autore. Un argomento annoso e che, per chiunque faccia una qualsiasi attività artistica e non, rappresenta spesso un aspetto poco piacevole del proprio lavoro.
Per parlarne ci siamo rivolti ad Antonella de Robbio,coordinatrice delle biblioteche del Polo Giuridico dell'Università di Padova, nonchè tra i fondatori del movimento Open Access ed esperta in campo legislativo, storico e burocratico di tutto ciò che riguarda la prevenzione e la tutela della "paternità creativa".
Nei giorni a seguire avrete modo di leggere per intero le dieci domande che le abbiamo posto e che compongono quella che doveva essere un'intervista, e che in poco tempo ha assunto la dimensione di vera e propria formazione.
Ci auguriamo quindi che ciò vi sia utile, almeno la metà di quanto lo sia per noi.
Buona lettura!

-Proprietà intellettiva, diritto d'autore e copyright: esattamente in cosa sono differenti?

La proprietà intellettuale è un sistema normativo complesso che regola due differenti ambiti:
- La proprietà intellettuale industriale: quella che si riferisce ai marchi, ai brevetti, ai disegni industriali o al design della moda
- La proprietà intellettuale artistica e letteraria: è la sfera definita come a “diritto d’autore” o anche “copyright” (ma poi vedremo le differenze tra questi due termini). Qui si colloca tutto ciò che è prodotto dell’ingegno come la pittura, la scultura, musica, la fotografia, il cinema, e la letteratura, compresa anche la letteratura “scientifica” (nel senso di accademica). Libri, riviste, articoli pubblicati su riviste, saggi, lavori presentati a conferenze, report, preprint, dispense e lezioni, insomma si tratta di materiale che rientra in questa sfera. Nelle università le produzioni intellettuali rientrano per il 95% nella pubblicista, cioè appunto nel diritto d’autore, il resto attiene ai brevetti in quanto “invenzioni”.
Nella proprietà industriale ciò che viene tutelata è l’idea, mentre nel diritto d’autore è la forma dell’idea ad essere oggetto di tutela. Sono due modalità profondamente differenti e del resto parliamo di due corpi di norme differenti che – pur rientrando sotto un cappello comune di proprietà intellettuale a livello internazionale – hanno regolamenti assai diversi. La proprietà intellettuale viene regolata da un Codice che è la Legge 130 del 2005 il cui regolamento attuativo, proprio in questi giorni, è oggetto di profonde modifiche per allineare il nostro Paese a quanto stabilito dalla Direttiva Europea, ma anche per adeguarci a quanto stabilito in sede di Strategia di Lisbona nel 2000.
La proprietà artistica e letteraria, o diritto d’autore è invece regolata da una norma, la legge 633 del 1941 che ha subito numerosissimi interventi a seguito di modifiche interne, recepimento di direttive europee, adeguamenti a trattati internazionali. Ma soprattutto di recente, un cattivo uso di strumenti legislativi tra i più vari sono via via intervenuti a modificarne l’impianto originario nel tentativo (spesso maldestro) di favorire lobby di mercato preoccupate per i propri interessi economici danneggiati dall’avanzare dello sviluppo della tecnologia (fenomeno della pirateria).
La norma attuale che regola il nostro sistema italiano a diritto d’autore non è un Testo Unico e da alcuni giuristi è definita come “il mantello di Arlecchino” proprio per i frequenti rattoppi operati che la rendono per certi versi ambigua e incoerente.
Di fatto mentre nella proprietà industriale si tutela l’idea, nel diritto d’autore la tutela agisce sulla sua forma. Inoltre nella proprietà industriale l’idea deve essere “innovativa” e quindi cambiare lo stato dell’arte e della tecnica, deve esserci una invenzione nell’idea, qualcosa che prima non esisteva, quantomeno non in quella modalità. L’idea deve poter generare qualche cosa che poi sia applicabile su vasta scala, per esempio un prodotto industriale o farmaceutico che poi sia distribuito sotto forma di brevetto a tutta la collettività.
Come vedi è molto diverso rispetto a un’opera letteraria, o artistica che invece deve avere carattere di “originalità” deve quindi essere creativa, ma sicuramente non ci cambia la vita a livello pragmatico. L’invenzione del frigorifero ci ha cambiato la vita, o il motore a scoppio o l’aspirina (acido acetilsalicilico), anche un buon libro ci può cambiare la vita sicuramente, ma in modo diverso ;-)

Il diritto d’autore è quindi un sistema che accorda all’autore tutti i diritti e rientra come corpo normativo entro il più ampio sistema della proprietà intellettuale.
La titolarità dei diritti spetta all’autore dell’opera che non ha obbligo di registrazione per far valere la titolarità sull’opera da lui creata. Si divide sostanzialmente in due sfere:
- Diritto morale: diritto di pubblicazione, diritto all’inedito, diritto ad essere riconosciuto come autore
- Diritti economici: traduzione, distribuzione, messa su web, diffusione, prestito, riproduzione, rielaborazione, adattamento …
Il diritto morale è il cordone ombelicale che lega l’opera al suo autore e nel nostro sistema è un rapporto fortissimo che determina l’assetto normativo italiano e anche per certi versi europeo e lo differenzia dal sistema anglosassone detto invece “copyright”.
E’ comunque invalso l’uso di definire con il termine “copyright” i diritti economici, questo perché il dibattito degli economisti ha tentato nel corso degli anni di ricondurre entro un discorso più ampio di “mercato delle idee” ciò che erano i prodotti dell’ingegno e le opere che a seguito di una fruizione da parte dell’utenza potessero in qualche modo remunerare l’autore.
I diritti d’autore durano 70 anni dopo la morte dell’autore e corrono lungo l’asse ereditario, i diritti editoriali hanno un massimo stabilito dalla legge pari a 20 anni, ma possono essere appunto regolati nel contratto tra autore ed editore.
Il Copyright invece è un sistema normativo proprio dei Paesi anglosassoni basati sulla Common Law e sull’istituto del Fair Use, che non vige in Europa.
In Europa e in Italia, abbiamo un sistema che prevede “eccezioni” ai diritti che sono degli autori o, nel caso l’autore abbia ceduto i diritti a una figura terza (editore per esempio). Le eccezioni si riferiscono ad alcuni diritti per esempio la riproduzione (fotocopie) o il prestito e sono stabilite dalla legge per certe categorie come l’uso personale, le persone con disabilità, le biblioteche.
In Italia le eccezioni per ricerca e didattica sono ridotte all’osso. Per questo il diritto di accesso all’informazione è gravemente compromesso in particolare a seguito della legge 248/2000 che ha cassato le “libere utilizzazioni” prima territorio delle biblioteche e dell’uso personale.

- Sei una grande esperta in questo campo: cosa consiglieresti di fare ad un artista che vuole tutelare le proprie opere?

Essendo tra i fondatori dell’Open Access(OA) in Italia e comunque coinvolta nel Movimento OA fin dal suo sorgere, ritengo che le opere debbano essere accessibili alla collettività, questo per un progresso della scienza e della tecnica.
Mi rendo conto comunque che se questo vale per la scienza e, in parte anche per la tecnologia, per le opere a carattere artistico non è sempre vero. Un autore può dedicare la sua vita, non solo professionale, per la creazione di opere che poi giustamente devono in qualche modo essere remunerate se fruite dal pubblico: è il caso dell’arte, spettacolo, musica.
E’ anche vero che l’attuale sistema che vieta una serie di azioni conduce un’intera generazione di giovani ad essere assimilatati a dei “pirati”, una brutta etichetta, brutto termine, proprio perché non si vuole capire che la tecnologia avanza alla velocità della luce quasi e che le nuove generazioni sono praticamente immerse, permeate dalla tecnologia. Definire tutti pirati è anacronistico.
Forse il rovesciamento della piramide dell’attuale sistema normativa, potrebbe davvero condurre ad una rivoluzione anche “economica”. Non dobbiamo dimenticare che sistema normativo e economia sono strettamente correlati.
Ritengo che saranno gli stessi artisti d’avanguardia a dettare nuove regole “de facto” in merito alla gestione dei diritti sulle loro opere e alle condizioni di fruibilità e di conseguenza al loro potere economico anche in termini di economie di scala e nuove nicchie di mercato.
In altri termini ad un artista direi di immettersi in uno dei network per lavori collaborativi, tra artisti, un po’ quello che è sempre successo nei movimenti artisti che hanno caratterizzato l’arte del Novecento, solo che ora si va verso un mondo digitale prima sconosciuto con delle potenzialità ancora in gran parte inesplorate. Arte digitale libera e remigata e questo vale anche per la musica, ma non solo. I nuovi processi creativi si basano su tecniche quali la manipolazione, la replicazione, la sintetizzazione, ma soprattutto la condivisione di contenuti, ma anche degli stessi processi all’interno di una congiuntura totalizzante che è propria dell’atto creativo. Solo così possiamo mantenere le radici culturali andando verso un futuro innovativo anche per l’arte.
Derrick de Kerckhove, sociologo belga, che promuove nuove forme di espressione artistica, che uniscano le arti, l'ingegneria e le nuove tecnologie di telecomunicazione, ci insegna che laddove le nuove tecnologie abilitano modelli fondati sull’autodeterminazione e sulla condivisione di risorse e conoscenze, il realizzarsi di questa possibilità si scontra da un lato con la
resistenza delle strutture economiche, politiche e legislative esistenti, dall’altro con un divide squisitamente culturale e di linguaggio. Copyright e processi di produzione artistico-culturale
catalizzano spesso queste tensioni di fondo.

- E più precisamente in campo musicale?

Guarda, vale lo stesso discorso fatto per l’arte in generale. Ma qui abbiamo anche la componente “fruizione di rete” molto forte, cioè il popolo della rete che usa musica, la scarica, la riproduce, in modo spesso “considerato” illegale. I. mercato economico dovrà adeguarsi e a riguardo recentemente si sono registrati dei timidi cambiamenti, come quelli introdotti dalla Apple che ha rimosso i DRM dai file musicali. Il fatto però che si possano rendere disponibili file musicali senza i vincoli del Digital Rights Management (DRM) non significa che decadano i diritti d’autore legati ai brani musicali messi in commercio. Ma di fatto poco cambia, la musica resta di proprietà di chi ne detiene i diritti, come qualsiasi altra opera dell’ ingegno, e gli utenti che decidono di comprarla hanno a loro volta il diritto di poter usufruire liberamente, in sede privata, dei brani acquistati, se non altro per effettuare copie personali di backup.
Resta comunque illegale la duplicazione in serie e la diffusione ad altri, in rete o via telematica, di brani di cui si possiede solo l’autorizzazione all’uso personale.

Allora mi vengono in mente i tre capisaldi del Lessig-pensiero: riforma del copyright, neutralità della rete e Open Government. Lawrence Lessig docente ad Harvard e Stanford è uno dei massimi esperti di copyright nel mondo, oltre che un guru della rete, ed è stato invitato recentemente (11 marzo 2010) a tenere una lectio magistralis dall’eloquente titolo “Internet e Libertà” alla Camera dei Deputati. Il suo particolare tipo di attivismo lo ha condotto a inventarsi un nuovo sistema di protezione della proprietà intellettuale, le Creative Commons, di cui parleremo più avanti.
“Fare la guerra a Internet significa fare la guerra ai nostri figli: non possiamo impedire ai nostri figli di essere creativi, ma se criminalizziamo la tecnologia, rendiamo i nostri figli pirati e clandestini.” I nostri figli sono i “nativi digitali” perché sono nati con le tecnologie digitali, non sono come noi che le abbiamo adottate strada facendo, in quanto siamo nati prima di queste tecnologie che popolano il cyberspazio.
Le parole con cui Lawrence Lessig, fondatore di Creative Commons, ha concluso il suo speech a Montecitorio, sottolineano come attualmente il maggiore divario nel mondo è dato dalla separazione tra generazioni piuttosto che dalla separazione tra nazioni. E in particolare questo comportamento si riferisce alla musica laddove i ragazzi vivono in un’era di proibizione: la loro vita la vivono sempre contro la legge. E tutto questo corrode alle basi la democrazia e lo stato di diritto.

..To be continued...

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